Otranto
Otranto (Hydruntun dei Romani), situata tra la valle dell’Idro e l’Adriatico, fu per molti secoli il centro politico, culturale e commerciale del Salento, che continua a chiamarsi anche «Terra d’Otranto».
Le sue origini e il suo nome risalgono alla prima colonizzazione magno-greca, che fece di questa città, la più orientale d’Italia, il ponte d’unione tra l’Oriente e l’Occidente mediterraneo.
Prima che i Turchi la radessero al suolo (1480), Otranto svolse un ruolo di primaria importanza nella storia del Mezzogiorno italiano, specialmente durante il Medioevo e le Crociate e nei lunghi periodi di lotta tra papato e impero, tra Bizantini, Goti e Longobardi, e poi in età normanna (ne resta la testimonianza della grandiosa cattedrale), sveva e angioina fino all’avvento degli Aragonesi.
Nella città sono rimaste tracce, più o meno evidenti, specialmente nelle opere d’arte, del passaggio di tutte queste civiltà. Oltre ad un inestimabile patrimonio artistico, Otranto ha la fortuna di godere di un clima di eccezionale mitezza in quasi tutti i mesi dell’anno.
Cosa vedere nel Centro Storico
IL BORGO ANTICO
Nonostante la forte espansione edilizia, il centro storico della città, di una bellezza urbanistica incomparabile, è rimasto intatto. È stato paragonato ad una iconografia di codici miniati. Le strade, lastricate di pietra viva e tutte convergenti per un compatto impianto architettonico verso la cattedrale, sono strette e si snodano a serpentina tra le case bianche. Dentro la città palpita ancora una vita fatta di echi millenari, in un dialogo incessante tra torri e bastioni, reso più vivace nelle giornate in cui il levantino o il tramontano s'incunea per le viuzze, rincorrendosi senza posa e levigando di più le grosse palle di granito catapultate dalle «bombarde» dei Turchi nel 1480 e rimaste lì, sui limitari delle case, a ricordo di una storia più gloriosa di qualsiasi arma gentilizia.
LA CATTEDRALE
Terminata e aperta al culto nel 1088, è la più grande (lunghezza m. 54, larghezza m. 25) tra tutte le chiese di Puglia. La facciata mostra con chiarezza l'impronta del romanico pugliese. È da ammirarsi il rosone rinascimentale, di forma circolare, con transenne convergenti al centro, secondo i canoni dell'arte gotico-araba, presente in Puglia specialmente in età aragonese. Il portale è una sovrastruttura barocca della seconda metà del secolo XVII. L'interno, in tre navate, è di una severa e solenne gravità impressionante. Le colonne, di granito levigato, sono 14, di cui due monolitiche. Tra i meravigliosi capitelli, due sono di ordine ionico con base attica. Il soffitto della navata centrale, a cassettoni in legno dorato, è della fine del Seicento, mentre il paliotto dell'altare maggiore, in argento, è opera di oreficeria napoletana del '700. Tracce bizantine sono evidenti in alcuni affreschi parietali, sparsi qua e là all'interno del tempio e nella cripta. Di incomparabile valore è il mosaico pavimentale, eseguito tra il 1163 e il 1166 da un monaco dell'abbazia di S. Nicola di Casole (un cenobio basiliano, a circa 3 km da Otranto, ormai ridotto in ruderi). Quest'opera d'arte, unica nel Mezzogiorno, resistette, insieme con la Cattedrale, alla valanga dell'invasione turca. È in tessere policrome, di calcare locale durissimo. L'ispirazione stilistica è romanica, con contaminazioni bizantine; quella tematica risale a fonti bibliche e, nelle figurazioni simboliche, attinge a riecheggiamenti del ciclo mitologico alessandrino, carolingio e brettone. I tre alberi allegorici delle navate sono una fantastica «proiezione» della storia umana. Nella cappella racchiusa nell'abside della navata destra si conservano, in sette grandi armadi, le Reliquie dei Martiri di Otranto. Si tratta dei resti mortali di ottocento e più cittadini, sgozzati dai Turchi sul Colle di Minerva (alla periferia a sud-est della città), il 14 agosto 1480, per non aver voluto rinnegare la fede cristiana. Per quell'evento glorioso Otranto è chiamata anche la «Città-martire». Un altro ambiente di grande valore storico e artistico, sempre all'interno della cattedrale, è quello della cripta. È del secolo XI e si avvicina alla classica forma semianulare, con tre absidi sporgenti e cinque navate. I meravigliosi capitelli richiamano ascendenze diverse, dal dorico al dorico-romanico, al coringio, allo ionico, e sono ascrivibili all'opera di lapidici attivi in Otranto nel IX secolo.
BASILICA DI SAN PIETRO
È nel cuore della città vecchia. È uno dei pochi monumenti del genere tuttora esistenti in Italia. Fu officiata dal clero greco, che pacificamente convisse per molti secoli con quello latino di Otranto. L'ingresso doveva essere originariamente preceduto da un protiro: lo indicano le due colonnine doriche, che richiamano quelle, di molto posteriori dell'altra chiesa bizantina di S. Stefano a Soleto (a 25 km da Otranto, nell'interno della Penisola Salentina). Il corpo della basilica, a croce greca, è diviso in tre piccole navate, sostenute da Otto colonne: quattro, al centro, reggono una cupola senza tamburo e con finestre aperte nella parte inferiore, arieggiante al mausoleo ravennate di Teodorico; le altre quattro sono incastrate per metà nelle pareti. I capitelli, di fattura molto semplice, sono formati da un cono capovolto. Le tre absidi sono parallele e sporgenti in forma semicircolare. Immancabili le pitture bizantine, ben visibili specialmente nella navata sinistra.
IL CASTELLO E I BASTIONI
L'attuale castello (o cittadella), con le torri, i bastioni e le mura, è opera degli Aragonesi di Napoli, posteriore alla riconquista di Otranto da mano dei Turchi (1481). L'architetto fu Ciro Ciri, ingegnere militare alla corte di Urbino, con la consulenza di Francesco di Giorgio Martini. Ad età vice-regnale, sotto il Toledo (1535), si deve un ulteriore rifacimento del castello e dei bastioni. Interessanti la torre Alfonsina, la Duchesca e la Ippolita, nonché il bastione detto «il Fortino». L'intero sistema difensivo di Otranto fu in gran parte manomesso delle truppe napoleoniche (inizi dell' '800).
LA TORRE MATTA
La torre è collocata nella parte di bastione verso mare presente sul lato sud della cortina e prospiciente il porto. Anche la cortina muraria esterna della struttura è stata oggetto in tempi recenti di lavori di restauro e recupero. A seguito della guerra del 1480 l’intera cortina muraria medievale di Otranto fu devastata e rasa al suolo. Dopo la liberazione della città, nel 1481, fu avviato un grande cantiere di ricostruzione della cinta muraria. Nella prima fase di rinnovamento vennero utilizzate delle torri cilindriche (rondelle). In una seconda fase, le strutture divennero più simili a vere e proprie casamatte e l’originaria rondella venne sostituita dal puntone più efficace nella logica del tiro difensivo di tipo radente, preso atto che nella forma circolare della rondella esisteva un punto debole rappresentato dalla generatrice mediana della torre. Otranto vive, nella sua cinta muraria, questa evoluzione tecnica importante, tant’è che nei primi anni del 1500 le originarie rondelle sul lato mare vengono tutte rivestite con cortine murarie idonee a farne puntoni. In particolare, proprio la Torre Matta cilindrica della prima fase fu inglobata all’interno di un bastione quadrangolare nel ‘500, al fine di migliorare l’efficienza balistica dell’intero sistema difensivo. Dal vano superiore si accede direttamente ad un ambiente a tutt’altezza, che rappresenta la chiusura della cortina muraria attorno alla torre cilindrica originaria. Della torre originaria si intravede la parte cilindrica sporgente con una serie di bellissimi beccatelli decorati con motivi tipici dell’epoca. All’interno di questo spazio era presente una grande quantità di detriti e materiale da riporto, riversato in epoca storica
TORRE ALFONSINA E MURA ANTICHE
Si tratta della porta principale della città aragonese, che, collocata in posizione contrapposta al Castello, recuperava probabilmente l'ingresso alla cittadella di epoca medievale e forse anche messapica, come si evince da alcuni resti, inglobati all'interno della galleria, nella zona centrale. Nella prima configurazione, alla fine del '400, risultava composta da due mezze torri affiancate, con la porta al centro ed un percorso per raggiungerla, scoperto superiormente. Anteriormente era protetta da un rivellino triangolare e da un fossato superabile attraverso un ponte levatoio. Le due mezze Rondelle hanno caratteristiche simili a quelle angolari del circuito fortificato, come la Duchesca, con una prima parte a parete verticale, oggi nascosta dal riempimento del vecchio fossato (il toro marcapiano infatti è posto al livello del pavimento della piazza), una seconda a scarpa, separata con un toro da una terza porzione a parete verticale, dalla quale sporge il coronamento superiore sorretto da beccatelli e archetti ciechi. Anche porta Alfonsina, come le altre Rondelle, nella sua configurazione iniziale, di fine '400, si presentava con la parte superiore più bassa e definita da merli con feritoie per gli archi e balestre. Tutto ciò è ancora percepibile osservando le finestrelle esistenti, originariamente vuoti tra due merli consecutivi. Agli inizi del '500, quando si operò la sua sopraelevazione fu coperto lo spazio anteriore tra le due torri con una volta a botte, chiusa in facciata da un arco a tre centri. Alcune archibugiere a foro tondo denunciano la presenza di ambienti interni un tempo indispensabili per la difesa radente, oggi accessibili solo in una delle due torri. Sulla facciata principale è presente l'epigrafe "ALFONSINA" che ne attesta la dedica ad Alfonso I , padre di re Ferrante, o al figlio Alfonso II. Sull'altro lato dell'ingresso è presente una seconda epigrafe che recita SIT VIRGO MATER FORTITUDO MEA (Sia la Vergine Madre la mia fortezza). Osservando il monumento sembra evidente che alcuni disegni del Codice Magliabechiano del Maestro senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1502) siano stati alla base del progetto otrantino. Il Bacile di Castiglione dà notizia dell'esistenza di una iscrizione, posta sull'arco della porta, riportante: " FERDINANDUS REX DIVI ALPHONSI FILIUS DIVI FERDINANDI NEPOS ARAGONIUS PORTAS MUROS AC TURRES POST RECEPTUM A TURCIS OPPIDUM SUO REG. STIPENDIO E FUNDAMENTIS FACINDUM CURAVIT TRADUZIONE: Re Ferdinando d'Aragona, figlio del divino Alfonso, nipote del divino Ferdinando, dopo aver riconquistato la città dai Turchi, curò la costruzione dalle fondamenta di porte, mura, e torri, con il suo regio stipendio.
BASTIONI DEI PELASGI
Bastioni dei Pelasgi, sono il punto più suggestivo della città di Otranto; si può ammirare il panorama del porto e sorseggiare un drink in uno dei locali presenti in questa zona, magari dopo aver fatto un bagno nelle splendide acque cristalline di questo mare.
Cosa vedere
fuori dal centro
SANTA MARIA DEI MARTIRI E IL "COLLE DELLA MINERVA"
La chiesa, intitolata anche a San Francesco da Paola, sorge su un'altura che domina la città, il Colle della Minerva. L'edificio, con annesso convento, fu edificato a partire dal 1614, al posto di una preesistente struttura voluta da Alfonso d'Aragona, in ricordo del terribile massacro dei Santi Martiri che qui ebbe luogo. Il 14 agosto del 1480, tre giorni dopo l'occupazione della città, Acmet Pascià, comandante della flotta turca, ordinò che venissero condotti sul colle gli abitanti di sesso maschile con un'età superiore ai quindici anni. Ai prigionieri Acmet propose di rinnegare la fede cristiana e ottenere in cambio la vita. Ottocento uomini si opposero coraggiosamente venendo decapitati, uno ad uno, su un grande masso. La tradizione narra che il primo ad essere giustiziato, Antonio Primaldo, rimase miracolosamente in piedi, senza testa, sino alla fine della macabra esecuzione. Uno dei boia saraceni, Berlabei, rimase così colpito da tale dimostrazione di fede che, gettata via l'arma, si dichiarò cristiano. La sua condanna, atroce, fu di essere impalato. Ancora oggi, lungo la scalinata, si conserva la colonna del suo supplizio. All'interno della chiesa, tra altari e dipinti di pregevole fattura, spicca l'opera di Ludovico Zoppi, datata al XVI secolo, che ritrae l'eccidio dei Martiri
CAPPELLA DELLA MADONNA DELL'ALTOMARE
La chiesa fu edificata nel Seicento e restaurata nel 1744, come ricorda l'epigrafe posta sulla sobria facciata. L'interno, a navata unica, presenta l'altare dedicato alla titolare. La semplicità dell'edificio non deve trarre in inganno, profonda e di antiche origine è infatti la devozione e l'attaccamento alla Madonna dell'Alto Mare da parte degli Otrantini. L'interno, a navata unica, presenta l'altare dedicato alla Vergine. Tutte le decorazioni richiamano alla tradizione marittima: il pavimento a mosaico è decorato al centro con una stella di tradizione marinara, circondata da nodi Savoia o a otto. Tutti gli arredi, anche l'illuminazione, richiamano ai temi del mare: dal cavalluccio marino al delfino, dall'ancora alla conchiglia, quest'ultima che riunisce una doppia simbologia: legata al mare da una parte, legata all'iconologia della perfezione dall'altra. La prima settimana di settembre, la popolazione rende omaggio alla Madonna con solenni festeggiamenti, conducendo la statua in una suggestiva processione in mare.
GROTTE DI SAN GIOVANNI
E' un vasto e complesso sistema ipogeico denominato “grotte di San Giovanni”, risalenti all’età paleocristiana , e appartenuto probabilmente alla comunità ebraica o paleocristiana nei primi secoli dopo Cristo. La destinazione originale dell’intero complesso doveva essere, presumibilmente, quella di deposito-magazzino di età tardo romana per le merci che giungevano nel vicino porto, in attesa di mettersi in cammino sul tratto terminale della via traiana-calabra. Riutilizzato probabilmente dai bizantini nel periodo d’oro otrantino, sarebbe stato poi trasformato in frantoio intorno al ‘700 prima di essere definitivamente abbandonato. Il complesso procedimento era governato da un Nachiro, il quale era l’unico a poter decretare quale fosse il buon olio tra le olive precedentemente raccolte dai trappitari e pressate degli animali trainando le barre. Dalla parte centrale dell’ipogeo, sorretto da una sola colonna, si accede ad una dipendenza circolare, che termina in un’aula quadrangolare, e ad un lungo dromos, all’interno del quale si affacciano numerosi piccoli ambienti rettangolari e semicircolari, provvisti di cellette, e chiusi da parapetti in pietra fino ad un altezza di circa un metro. Uno dei punti oscuri del sistema di questo frantoio consiste nel fatto che all’interno dell’ipogeo si vedono solo tracce di tre torchi alla calabrese non essendoci, invece, alcun segno della macina. Si presume infatti che questo fosse il vano destinato alla macina ed che il dromos collegava la zona dei turchi con la zona della macina, cosicchè le vasche del dromos servissero ad ospitare il materiale appena macinato da convogliare poi alla spremitura. Inoltre la zona dell’ansa è piu superficiale rispetto al pianoro superiore, e si ritiene che cio abbia provocato il crollo dell’ipogeo, a causa del peso dei carri carichi di olive che arrivavano sul pianoro al fine di essere macinate e distribuite nei vari ambienti. All’interno dell’ipogeo è possibile ammirare graffiti di stampo cristiano e appartenenti ad epoche diverse, come il Chrismon, le croci greche e latine stellate ma non si rinvengono affreschi nè dediche devozionali. Numerosi sono invece nomi di persone scritti in greco, in buona parte ormai illeggibile di cui si riescono a distinguere in maniera più nitida solo alcune lettere. Dall’altra parte della strada è possibile ammirare e visitare altre cellette e corridoi della stessa tipologia di quelli del gruppo principale, che si estendono lungo tutta la via di San Giovanni e che restano a disposizione del pubblico.
IPOGEO DI TORRE PINTA
Rappresenta un esempio di torre colombaia, edificata su un insediamento di epoca precedente, forse cristiano, data la pianta a croce latina regolare. I tre bracci corti della croce sono orientati a Ovest, a Est e a Sud, mentre la buia galleria, lunga 33 metri, che corrisponde al braccio lungo della croce, è orientata verso Nord. Tutte le nicchie e l'ampio corridoio dal basso soffitto, presentano profonde incisioni provocate dalle unghie dei colombi. Se si osserva con più meticolosità, si noteranno alcuni particolari che rimandano direttamente alla cultura messapica: un forno utilizzato per la cremazione o per i sacrifici, centinaia di cavità adoperate come urne cinerarie e un sedile in pietra collocato lungo le pareti, utilizzato da questo popolo, secondo la loro usanza, per deporre i defunti seduti. L'origine messapica di tale struttura costituisce oggi l'ipotesi più accreditata. La scoperta di questo ipogeo, avvenuta nell'agosto del 1976, è attribuita all'architetto milanese Antonio Susini, il quale affermò con certezza che le numerose cellette esistenti ospitavano piccioni, allevati dai proprietari della vicina masseria. La posizione strategica del sito conferma la supposizione che si trattasse di colombi viaggiatori, al servizio del comando militare borbonico di presidio in Terra d'Otranto. "Avessimo trovato un vaso, una moneta, un'incisione", affermò Susini. "Invece nulla. Un fatto incredibile, tanto più se si pensa che le centinaia di nicchie scavate in ordini sovrapposti lungo tutte le pareti e nella volta debbono aver custodito altrettante urne cinerarie". Se ci si sofferma a studiarne tutte le particolarità, si noterà certamente che i loculi originari arrivano fino alla volta. Se ne aprono poi altri, più recenti. La torre vera e propria risale al Medioevo, ma ha subìto successivi rifacimenti. Tale parte è sicuramente quella meno antica ed è caratterizzata da guglie orientali di ispirazione saracena, sulle quali, in passato, furono collocate le palle turche.
Cosa vedere sul
territorio
TORRE DEL SERPE
Il porto della città segna la divisione fra due tipi di costa nettamente distinti. Si passa dalla bianca roccia, segnata dai cespugli sempre verdi, del piccolo golfo delle Orte, dove svetta ancora, quasi a sfida dei venti e dei secoli la vecchia Torre del Serpe o Torre dell'Idro alla costa alta e rocciosa in uno scenario pittoresco e suggestivo tra promontori e calette. Il nome “Torre del Serpe” legato ad un’antica leggenda. Si ritiene che la sua costruzione risalga al periodo romano e che la torre avesse la funzione di faro. La leggenda narra che durante la notte, mentre i soldati si concedevano un po’ di riposo e cadevano in un sonno profondo, un serpente saliva puntualmente dalla scogliera e strisciava lungo le pareti della torre. Giunto alla sua estremità, beveva tutto l’olio della grande lanterna privandola del prezioso liquido che la teneva accesa. Il fanale smetteva di emanare la sua luce vitale e il serpente, contento e sazio, poteva ritornare al mare. Si narra, altresì, che prima del 1480, anno in cui i Turchi saccheggiarono Otranto e uccisero gli ottocento martiri, questo popolo venuto da Oriente navigò lungo la costa adriatica in cerca di bottino. Fortunatamente anche quella notte il serpente fece visita alla torre e bevve il suo olio. Il faro si spense e gli Ottomani, non avendo alcun punto di riferimento per poter sbarcare, andarono oltre e saccheggiarono la vicina Brindisi. Otranto, in quella occasione, fu salvata dal serpe ed è anche per tale ragione che gli idruntini l'hanno fortemente voluta nel loro araldo in cui è rappresentata con un serpente nero che l’avvolge.
CAVA DI BAUXITE
La cava di Bauxite di Otranto è uno dei luoghi da non perdere durante le vacanze in Salento. Si trova nelle vicinanze del faro di Punta Palascia e del Monte Sant’Angelo. In questo giacimento di estrazione mineraria ormai dismesso si è formato un laghetto verde smeraldo che rende il panorama a dir poco straordinario. La cava di bauxite rappresenta una meta molto attraente per i turisti e per i visitatori. Si tratterebbe di uno dei luoghi più fotografati del Salento. Poiché si tratta di un’area dismessa, è bene avvicinarsi con la massima attenzione. Alla cava si può accedere comunque facilmente, senza alcuna restrizione, magari in attesa che le autorità locali intervengano per metterla in sicurezza e per valorizzarla come sito di importanza turistica regionale. L’estrazione di bauxite nella cava di Otranto ha avuto inizio nel 1940 ed è terminata nel 1976. La bauxite è un minerale impiegato per la produzione di alluminio. La formazione del laghetto verde smeraldo è avvenuta molto probabilmente per via delle infiltrazioni d’acqua provenienti dalle falde presenti nella zona. Il colore dell’acqua crea un contrasto molto affascinante con le pareti rocciose circostanti, che brillano di un bel rosso intenso. Il paesaggio è circondato da una vegetazione che con il proprio verdebrillante dà vita ad un luogo meraviglioso, da visitare almeno una volta nella vita. Si tratta di un’area di grande interesse paesaggistico ed ambientale, una vera e propria perla della Puglia, che merita di essere scoperta ed ammirata.
ABBAZIA DI SAN NICOLA IN CASOLE
Il monastero di San Nicola di Casole, nei pressi di Otranto, fu fondato nel 1098-1099 per volontà del normanno Boemondo I, principe di Taranto e di Antiochia. In breve tempo divenne uno dei più importanti monasteri dell’Italia meridionale e un prestigioso centro culturale. Sotto la guida del colto abate Nettario (1219-1235) si sviluppò un circolo poetico la cui produzione testimonia una notevole vivacità letteraria. A Casole, che doveva possedere anche una grande biblioteca, furono copiati parecchi manoscritti ora conservati in numerose biblioteche italiane e straniere. Divenne un centro culturale di primo livello e i monaci che un tempo lo frequentavano rivestirono incarichi diplomatici assai delicati. Tuttavia la parabola del monastero, che rappresentava un punto di raccordo tra Oriente e Occidente, si interruppe bruscamente nel 1480 con la distruzione della città da parte dei turchi. Il Laggetto nella sua Storia (1537) riferisce che, durante l’occupazione, i Turchi si erano fortificati nella città e avevano trasformato l’abbazia, che ben si prestava per la posizione geografica (sul monte Idro), in una sorta di posto di guardia con scuderia e magazzino dell’esercito, da qui partivano per depredare i casali vicini. L’abbandono del monastero continuò fino al 1527, anno in cui Clemente VII (1523-1534) emanò la bolla Ad apostolicae dignitatis, con la quale concedeva privilegi ad Otranto per riparare i danni causati dai Turchi e consigliava che almeno una terza parte dei frutti dell’abbazia di Casole, «degna della più grande venerazione» e «distrutta e trasformata in stalla per animali», venisse utilizzata per riparare la chiesa stessa. L’appello del pontefice fu ascoltato, come dimostra la testimonianza di Pietro Antonio De Capua, arcivescovo di Otranto (1536-1579), che il 18 settembre 1538, visitando la chiesa, poté ascoltare messa e incontrare l’abate e alcuni monaci; questi, però, non erano più greci, ma latini e di rito latino. Datato al 25 aprile 1665 è l’inventario analitico di tutti i beni del monastero redatto dal notaio Carlo Pasanisi. Questo documento preziosissimo, conservato presso l’archivio di Stato di Lecce, oltre a darci un elenco dettagliato di tutti i possedimenti del monastero, ci offre anche una minuziosa descrizione del complesso Purtroppo oggi la chiesa è completamente distrutta, tranne che per un lato ancora in piedi. Il crollo deve essere avvenuto probabilmente nei primi decenni del Novecento, come attesta un’anziana nata a Casole. Il complesso architettonico è oggi noto come masseria “Santu Nicola” e i locali sono adibiti a deposito di attrezzi o a stalle per il bestiame. Fortunatamente il lato sinistro, su cui si osservano ancora esilissime tracce di affreschi, è rimasto in piedi grazie al sostegno della costruzione adiacente, mentre la zona absidale e il lato destro sono andati pressoché distrutti. Della gloria di Casole rimane dunque ben poco, ma un restauro diligente potrebbe contribuire a preservare le attuali vestigia e restituire informazioni assai importanti per la cultura salentina e per la comunità scientifica.
FARO PALASCIA
Affascinante e suggestivo scorcio situato a circa 40 km da Lecce, il Faro di Punta Palascia è il luogo più a est dell’Italia e rappresenta un punto di rara bellezza naturalistica: da qui si può osservare un’alba meravigliosa che si “nasce” dal mare, con il cielo stellato per un panorama suggestivo. Il Faro è una meravigliosa struttura architettonica, recentemente ristrutturata e tutelata dalla Commissione Europea, che rappresenta il simbolo di Capo D’Otranto; grazie all’interesse della Comunità Europea per questo luogo ameno, è stato costruito, a poca distanza dal Faro, un Museo Multimediale del mare che consente ai visitatori di scoprire la fauna e flora tipica del luogo. Dalla terrazza del Faro, luogo intimo e magico, si può godere di un panorama spettacolare, costituito dal faro che spicca in mezzo alle rocce e sovrasta l’infinita distesa cristallina del mare, nel punto in cui si incontrano mar Ionio e mar Adriatico e tutto intorno una fitta vegetazione variegata. Molto caratteristico è visitare il Faro nella Notte di San Silvestro per assistere alla prima alba dell’anno sulla penisola italiana; in estate è molto frequentato da turisti, mentre in inverno il luogo, poco affollato, presenta un’atmosfera ancor più magica. Il Faro è anche un luogo di interesse archeologico, poiché costituisce il punto di accesso alla “Grotta dei Cervi”, insenatura naturale costiera nonché importante testimonianza del neolitico. Si tratta di una meta ambita da amanti del trekking e delle passeggiate in mezzo alla natura, circondati da profumi avvolgenti e colori intensi: infatti per raggiungere il Faro, si attraversano scogliere a picco sul mare e campi ricchi di vegetazione, per un percorso che vi lascerà affascinati e stupiti. Secondo alcune convenzioni nautiche questo luogo è il punto di separazione tra Mar Adriatico e Mar Ionio. Il luogo è anche sede della stazione meteorologica di Otranto-Punta Palascia, ufficialmente riconosciuta dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale.
PORTO BADISCO E LA GROTTA DEI CERVI
La piccola e ridente convalle di Badisco, a 4 miglia a sud-est del territorio otrantino, degradando verso il mare, forma il porticciuolo omonimo, che s'apre tra Punta Scuru e il Capo Palascia. La leggenda vuole che sia stata la prima sponda adriatica toccata da Enea nel suo viaggio in Italia. Alla bellezza paesaggistica, Badisco unisce il richiamo della sua eccezionale importanza documentaria per gli studi della preistoria. La scoperta della Grotta dei Cervi (o del Cervo), avvenuta nel 1970, è una di tutta una serie di scoperte che portarono alla luce, fin dal 1904, molti reperti industriali del Neolitico e del Paleolitico Superiore. Il dato più importante della scoperta è costituito dai dipinti sulle pareti, che testimoniano l'impronta della civiltà umana nel trapasso dal Paleolitico Superiore al Mesolitico e Neolitico. Alcune figure umane della Grotta del Cervo di Badisco richiamano quelle delle grotte spagnole e del Mas d'Azil.
COSTA NORD E LAGHI ALIMINI
Non meno incantevole è la costa a nord di Otranto, quella che conduce dalla riviera degli Haethaei ai Laghi Alimini. Alle caratteristiche tettoniche (grotte, anfratti, insenature) si associano in questa zona peculiari specialità della flora. Per chilometri si estendono spiaggie con sabbia finissima che ne caratterizza l’aspetto paesaggistico. I laghi Alimini sono l'elemento più caratteristico dell'agro otrantino. Sono due bacini con fisionomie diverse: il più meridionale, detto Fontanelle, sgorga da una sorgente sotterranea; la sua conca è nella roccia, e l'acqua è dolce; mentre l'altro, «Alimini grande», è alimentato da Fontanelle attraverso un canale ed è chiuso al mare dalle dune.